Ambientato in una rigogliosa Vallarsa primaverile, adagiata quietamente nel lontano 1936, il dodicesimo libro di Mario Martinelli ci narra, attraverso gli occhi insieme lievi e profondi del protagonista Giovannino, reduce dalla tempesta d’acciaio della Grande Guerra, di un inatteso quanto gioioso ritorno a casa. Dopo averci condotti con voluttuosa lentezza per i sentieri odorosi di erba appena spuntata della valle del Leno, e averci fatto intravedere realistici scorci della vita quotidiana di quel tempo, il placido racconto di Martinelli assumerà all’improvviso un’imprevista piega gialla, che costringerà Giovannino e i suoi nuovi amici “jobreri” a investigare su un misterioso delitto che tutti sembrano aver voluto, ma che nessuno pare avere commesso…
Caratterizzato dalla consueta capacità di condurre il lettore attraverso un fitto dialogo fra le profondità interiori e la luminosa natura circostante, questo romanzo si addensa attorno a una serie di piccoli, delicati, intimi “Wendepunkt”: quei punti di svolta che, se riconosciuti e accolti, sanno trasformare profondamente la vita di una persona.
“…Ora riconosceva l’inutilità del voler rallentare il naturale decorso dell’esistenza, e gli diventava comprensibile che l’unica cosa giusta era lasciarsi andare, abbandonarsi alla corrente, senza perdere ulteriore tempo in congetture che non pervenivano mai ad alcuna conclusione. Desistere dall’intromettersi con la propria volontà e acconsentire alla vita di portarci dove le pare, ecco il segreto per essere liberi dai crucci. Pure i riflessi che tremolavano tra le fronde lo asserivano. E le cime dei monti azzurrini che svettavano dalle schiarite del bosco, lo confermavano. E Giovannino udì il suo cuore battere con vitalità maggiore. E non dovette fare nessuno sforzo per dichiarare a se stesso che: era felice di essere al mondo. Una gioia traboccante lo aveva invaso, e avrebbe dato chissà cosa per poterla esprimere al Didon, ma queste erano faccende difficili da dire; il linguaggio dei montanari non contemplava le parole adatte a spiegare i turbamenti interiori. Tantomeno quelli che mettevano in subbuglio l’animo di un jobrero di mezza età.” |